- 09/10/2024
- Redazione
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Dall’Atlante ambientale dell’ISPRA emergono tutti gli ecosistemi urbani italiani da ripristinare a partire dal 2031
Superano il 28% i comuni italiani obbligati a ripristinare le proprie aree urbane a partire dal 2031. Si arriva a oltrepassare anche il 40% se, oltre ai centri e agli agglomerati urbani, si aggiungono anche i comuni periurbani pari all’11,6% del totale.
E’ quanto emerge da una delle carte dell’”Atlante dei dati ambientali 2024” presentato a Torino dall’ISPRA durante la manifestazione “Terra Madre”.
Anche al fine di supportare il percorso del Governo nella redazione del Piano nazionale di ripristino, la nuova edizione dell’Atlante tiene in considerazione quanto previsto dal recente regolamento europeo sul ripristino della natura (Nature Restoration Law), entrato in vigore il 18 agosto 2024, in base al quale tutti gli Stati membri dell’UE devono assicurare il ripristino di almeno il 20% delle aree degradate terrestri e marine, ed entro il 2050 di tutti gli ecosistemi degradati.
Inoltre, il regolamento richiede che non ci sia nessuna perdita netta di spazi verdi e di copertura arborea nelle aree urbane fino al 2030 e un costante aumento della loro superficie totale a partire dal 2031.
Cosa individuano le mappe dell’Atlante
Le mappe individuano per la prima volta tutti gli ecosistemi urbani per i quali i Comuni dovranno assicurare il mantenimento dell’estensione complessiva (a partire dal 2024) e l’incremento, con azioni di ripristino (dal 2031), delle aree verdi e degli alberi, copertura arborea che solo per il 2,3% è collocata oggi in ambito urbano.
Oltre agli ecosistemi urbani dovranno essere fatti interventi di ripristino anche in altri ambiti, come quelli agricoli, forestali, costieri, marini e fluviali. Allo stato attuale il 23,3% degli ecosistemi risentono di una frammentazione elevata, mentre quasi un quinto (17,5%) è a frammentazione molto elevata.
Nel 74% degli habitat mappati dalla Carta della Natura, i sistemi ambientali in cui le attività antropiche risultano predominanti, come le coltivazioni e le aree costruite, sono più della metà del territorio nazionale (52%), mentre tra gli ambienti a maggiore naturalità risultano maggioritari gli habitat forestali e prativi (44%). La restante parte del mosaico ambientale (4%) è costituita da ambienti costieri, umidi e rocciosi.
I dati sui cambiamenti climatici
Il lavoro, articolato in sei sezioni tematiche, contiene anche un’intera sezione dedicata ai cambiamenti climatici, dove le schede sullo stato del clima, sugli indicatori di impatto e sulle strategie di contrasto, offrono un quadro conoscitivo che consente la valutazione della situazione nazionale e locale.
Ad esempio, per il clima è possibile analizzare la temperatura media annua registrata nel 2023, compresa tra i -1.9°C della stazione di Valtournenche – Cime Bianche (Aosta, 3018 m s.l.m.) e i 20.9 °C della stazione di Lampedusa o rilevare che il 2023 è stato il secondo anno più caldo della serie dal 1961, superato solo dal 2022, e il decimo anno consecutivo con anomalia positiva rispetto alla norma.
Inoltre, le precipitazioni cumulate annuali nel 2023 sono state complessivamente inferiori di circa il 4% rispetto al trentennio di riferimento 1991-2020, con riduzioni più marcate nelle aree occidentali del Nord e del Centro, in Sardegna, in Sicilia e nelle aree centro-meridionali di Puglia e Calabria, le aree del Paese che durante l’anno passato sono state soggette a persistenti condizioni di siccità.
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Le aree suscettibili di inondazioni
Inoltre, la carta della pericolosità idraulica, un’altra delle tavole presenti, evidenzia le aree più critiche del territorio nazionale. Su scala nazionale, si stima che ricadano in aree potenzialmente inondabili, per uno scenario medio di pericolosità (P2), l’11,8% delle famiglie, il 13,4 % di imprese e il 16,5% di beni culturali, con conseguente impatto economico e sociale.
La progressiva impermeabilizzazione del suolo e la riduzione delle superfici di espansione delle piene acuiscono le conseguenze dei fenomeni alluvionali. Il consumo di suolo continua, infatti, a crescere, con una progressiva diminuzione della superficie destinata all’uso agricolo, perdita di biodiversità e aumento del degrado del suolo, con conseguenze che devono essere affrontate attraverso incisive azioni di ripristino.



















































































































































































































