- 07/10/2025
- Redazione
- 0
Tra caldo record, alluvioni e siccità, l’Italia affronta una grave crisi idrica con riserve d’acqua in forte calo al Sud
L’estate appena conclusa ha confermato un trend ormai evidente: il clima globale continua a scaldarsi, e l’Italia non fa eccezione. Secondo l’ISAC-CNR, la stagione estiva 2025 è stata la quarta più calda di sempre nel nostro Paese e in Europa.
A livello mondiale, però, ha raggiunto addirittura il terzo posto tra le più calde mai registrate, con una temperatura media planetaria di 15,58°C e un’anomalia termica di +0,64°C rispetto alla media storica (dati Copernicus, elaborati da ANBI).
Ma mentre il mondo si riscalda, l’Italia continua a confrontarsi con una doppia emergenza climatica: da un lato l’aumento delle temperature, dall’altro la crescente instabilità meteorologica, che si manifesta con fenomeni estremi sempre più frequenti e distruttivi.
Eventi estremi e danni in 218 località
A segnalare la gravità della situazione è l’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche, che sottolinea come, solo negli ultimi dieci giorni di settembre, ben 218 località italiane siano state colpite da eventi meteorologici violenti: trombe d’aria, grandinate di grande intensità e vere e proprie bombe d’acqua.
Le regioni del Nord e la Campania sono state le più colpite dai nubifragi, mentre le trombe marine (ben 69) hanno interessato le coste italiane. Particolarmente gravi sono stati i danni all’agricoltura nel Nord Italia, dove 53 grandinate intense hanno colpito duramente le coltivazioni.
«Sono dati preoccupanti, che devono obbligare a porre attenzione alla fragilità idrogeologica del nostro Paese, soprattutto lungo le aree costiere, dove la pressione antropica continua ad aumentare», ha dichiarato Francesco Vincenzi, presidente di ANBI. «È indispensabile ed urgente frenare l’esodo dalle aree interne».
Il bilancio idrico: Nord in ripresa, Sud in sofferenza
Dal punto di vista idrico, il bilancio dell’anno appena concluso è a due velocità: se il Nord registra dati nel complesso positivi, il Centro è sotto media e il Sud affronta una situazione drammatica.
Secondo il Direttore Generale di ANBI, Massimo Gargano, questa fotografia conferma la necessità di completare gli schemi irrigui e di avviare il Piano Nazionale di Bacini Idrici Multifunzionali, così da poter trattenere e trasferire l’acqua tra territori vicini in modo più efficiente.
Puglia in emergenza: -96% di pioggia a settembre
Tra le regioni in maggiore difficoltà spicca la Puglia, che a settembre ha registrato un deficit pluviometrico del 96%. Le temperature sono rimaste oltre 7,5°C sopra la media nell’ultima decade del mese. Il risultato? Riserve idriche ai minimi storici: nei bacini della Capitanata restano appena 54,89 milioni di metri cubi, pari al 16,5% della capacità totale.
Situazione analoga in Basilicata, dove nella scorsa settimana si sono persi quasi 8 milioni di metri cubi nei bacini. Il serbatoio di Monte Cotugno, il più grande d’Europa in terra battuta, è riempito solo al 18,4%, mentre il Pertusillo è fermo al 26%.
Calabria, Campania e il Centro: criticità diffuse
In Calabria, le province di Reggio e Crotone sono le più colpite dalla severità idrica. Il lago Ampollino registra un deficit superiore al 50% rispetto alla media storica.
In Campania, si segnalano segnali di risalita per i fiumi Volturno, Sele e Garigliano, ma la diga di Conza, nonostante contenga più acqua dell’anno scorso, è riempita solo al 31%.
Nel Centro Italia, le piogge di fine settembre non sono bastate per invertire la tendenza. In Umbria, il lago Trasimeno resta 69 cm sotto la media storica, ben lontano dal livello critico di -1,20 metri, ormai stabile da oltre due anni. Nel Lazio, i laghi di Albano e Nemi continuano a perdere quota, e anche i principali fiumi mostrano portate sotto media.
Le Marche rappresentano una parziale eccezione, con volumi trattenuti tra i più alti dell’ultimo decennio. In Toscana, invece, le portate fluviali tornano sotto i valori normali, con l’Ombrone sotto il Deflusso Minimo Vitale.
Nord Italia: tra abbondanza e oscillazioni
Nel Nord, la situazione è più variegata. In Liguria calano le portate dei fiumi principali, ma i grandi laghi lombardi presentano livelli superiori alla media: il Lago Maggiore è al 107,3% della capacità, il Lario al 75,3% e il Sebino al 61,4%. Solo il Benaco è in calo al 66,4%.
In Valle d’Aosta, dopo i picchi delle scorse settimane, decrescono le portate di Dora Baltea e Lys. In Piemonte, il Po torna su valori più tipici dopo la piena recente, ma gli altri fiumi registrano cali significativi: la Toce, ad esempio, ha perso il 65% del flusso in una sola settimana.
Bilancio positivo invece in Lombardia, dove il volume idrico è superiore alla media storica del 9,8%, e in Veneto, dove tutti i principali fiumi mostrano portate ben superiori alla norma.
Leggi anche: PNRR e settore idrico: riforme in corsa, ma le opere restano al palo
Una sfida strutturale, non più emergenziale
I dati forniti da ANBI e dagli enti locali raccontano una nazione a rischio crescente, divisa tra eccessi idrici localizzati e siccità persistente. Eventi estremi e variazioni violente diventano sempre più la norma, anziché l’eccezione.
L’urgenza è evidente: servono infrastrutture, pianificazione e investimenti strutturali, non solo risposte emergenziali. Senza una visione coordinata e nazionale sulla gestione dell’acqua, il rischio è di pagare un prezzo altissimo — ambientale, economico e sociale — per una risorsa che dovrebbe essere alla base della sicurezza e della prosperità del Paese.













































































































































































































