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Per adeguare il parco dei grandi depuratori italiani alla nuova Direttiva europea sulle acque reflue (2024/3019) saranno necessari investimenti fino a 1,5 miliardi di euro, in un Paese in cui 1,3 milioni di cittadini sono ancora privi di un servizio di depurazione

Sono alcuni dei dati resi noti ieri a Roma in occasione della presentazione del Blue Book 2025 realizzato dalla Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia, relativi al servizio idrico integrato, e del Libro Bianco 2025 “Valore Acqua per l’Italia” di TEHA (The European House – Ambrosetti), relativi alla filiera estesa dell’acqua.

Gli obiettivi introdotti dalla direttiva europea

La nuova direttiva europea, come emerge dal Blue Book (realizzato in collaborazione con Istat, Enea, Cnr – Istituto per la Bioeconomia, Istituto Superiore di Sanità e le sette Autorità di Bacino dei Distretti Idrografici), ha introdotto obiettivi stringenti per migliorare la qualità delle acque reflue.

Tra le novità vi è l’estensione dell’obbligo di raccolta e trattamento delle acque reflue agli agglomerati urbani con oltre 1.000 abitanti equivalenti, riducendo la soglia precedente di 2.000 abitanti equivalenti e l’introduzione dell’obbligo di avere scarichi con requisiti pertinenti ai trattamenti secondari entro il 2035.

La direttiva prevede, inoltre, ulteriori obiettivi per l’adeguamento dei grandi impianti a sistemi di trattamento terziario (entro il 2039) e quaternario (entro il 2045). Infine, ulteriori previsioni temporali vengono indicate per gli impianti di più piccola taglia recapitanti in aree sensibili.

Le parole della commissaria europea per l’Ambiente

La commissaria europea per l’Ambiente, la resilienza idrica e un’economia circolare competitiva, Jessika Roswall, intervenuta all’evento, ha esortato “l’Unione europea, i suoi Stati membri e le regioni a fare di più per garantire la sicurezza idrica, ridurre i rischi di inondazioni e mitigare gli impatti della siccità. Le acque superficiali nell’Unione europea sono in condizioni particolarmente critiche: meno del 40% dei corpi idrici raggiunge un buono stato ecologico e solo un quarto un buono stato chimico. Questa situazione è aggravata dall’impatto del cambiamento climatico, e questi rischi aumenteranno se non agiamo rapidamente”. 

“Solo in Italia, nel 2024, ci sono stati oltre 350 eventi meteorologici estremi, quasi un aumento del 500% in un decennio. Numeri impressionanti che influenzano le nostre vite” ha rilevato la Roswall ricordando di aver presentato “poco più di un mese fa tre importanti relazioni sulla situazione delle acque europee”.  

Anche i paesi piovosi come Belgio o Paesi Bassi stanno affrontando la sfida della scarsità idrica: “Perfino in Svezia, il mio paese d’origine, l’acqua non può più essere data per scontata. Dobbiamo ripensare la gestione dell’acqua. Ci sono diversi punti da cui iniziare: ad esempio, i permessi di prelievo idrico, che spesso non sono allineati con la reale disponibilità dell’acqua nei bacini idrografici. Il prezzo dell’acqua è raramente utilizzato per aumentare l’efficienza e parliamo poco della priorità d’uso dell’acqua.
Dobbiamo investire di più nelle soluzioni basate sulla natura tra le più efficaci e convenienti per ridurre i danni da siccità e alluvioni. I suoli sani sono il nostro più grande serbatoio per conservare l’acqua dolce, ma oltre il 60% dei suoli europei è degradato. È un grande rischio”, ha concluso Roswall.

Occorre adeguare i grandi depuratori

Si stima che per adeguare il parco dei grandi depuratori italiani rispetto all’esigenza di inserimento di sistemi di trattamento quaternario, saranno necessari dai 600 milioni a 1,5 miliardi come somma dei costi di investimento e di esercizio richiesti, in base alle tecnologie impiegate.

Gli investimenti nel settore depurativo sono necessari, considerando che in Italia si contano ancora 856 agglomerati in procedura di infrazione per un carico organico generato pari a circa 27 milioni di abitanti equivalenti, di cui il 76% ubicato al Sud.

Senza depurazione 296 Comuni e 1,3 milioni di cittadini

La situazione relativa al nostro Paese non è confortante. Il Libro Bianco 2025 realizzato da TEHA attraverso i contenuti emersi dai lavori della Community “Valore Acqua per l’Italia”, evidenzia, infatti, come il nostro Paese si collochi solo al 22° posto nell’UE-27 per la quota di acque reflue domestiche trattate in modo sicuro, con un valore del 70,2%. Ogni anno 6,7 miliardi di m³ di acque reflue vengono convogliati nei depuratori, ma una gestione più efficace potrebbe aumentarne il riutilizzo.

I Paesi Bassi sono il miglior esempio con il 99,8% di trattamento.

Nel dettaglio, in Italia sono 296 i Comuni e 1,3 milioni i cittadini privi di un servizio di depurazione, con forti criticità nel Sud (400.000 persone, 3% della popolazione regionale) e nelle Isole (640.000 persone, 9,9%).

Questa situazione ha già portato all’apertura di 4 procedure di infrazione da parte dell’UE, costando all’Italia 143 milioni di euro in sanzioni dal 2010 al 2021.

Cosa serve per superare le criticità?

Al fine di poter superare tali criticità occorrerebbe il subentro del gestore unico in alcuni ambiti territoriali, il superamento delle gestioni in economia e della frammentazione gestionale del settore idrico.

I dati del Blue Book evidenziano che si tratta di processi in pieno sviluppo, grazie anche al contributo delle azioni di riforma messe in campo dal PNRR. Ad oggi le criticità principali legate al mancato affidamento degli ambiti si segnalano prevalentemente in alcune regioni del Sud e sono comunque in via di risoluzione.

L’85% dei cittadini è servito da un unico soggetto che gestisce il servizio idrico integrato, mentre restano ancora circa 7 milioni di cittadini dove almeno uno dei servizi idrici è gestito da enti locali (gestioni in economia) che hanno notoriamente una minore capacità di investimento rispetto ai gestori industriali.

Secondo Mario Rosario Mazzola, presidente della Fondazione Utilitatis “I dati del Blue Book 2025 evidenziano come il settore idrico italiano sia in continua evoluzione. In un contesto segnato dai cambiamenti climatici e da un crescente stress idrico, occorre adottare un approccio integrato nella gestione della risorsa, superando le criticità residue. L’attuazione di una governance efficace nel settore idrico italiano rappresenta un passaggio imprescindibile per garantire la realizzazione degli interventi necessari alla sicurezza e sostenibilità della risorsa idrica”.

Buoni i parametri relativi alla qualità delle acque

Dal Libro Bianco emerge che la qualità dell’acqua italiana è tra le migliori d’Europa. L’Italia, infatti, per qualità e sicurezza dell’acqua si colloca al 6° posto in Europa. Nonostante ciò, però, i cittadini italiani mostrano diffidenza nel bere l’acqua del rubinetto.

Nel nostro Paese l’85% dell’acqua potabile viene prelevato da fonti sotterranee, naturalmente protette. In aggiunta a questo elemento qualitativo, secondo le recenti ricerche dell’Istituto Superiore di Sanità quasi tutte le Regioni italiane hanno un tasso di conformità della qualità dell’acqua prossimo al 100%.

Secondo Benedetta Brioschi, partner TEHA “Un livello di qualità che non è sempre del tutto percepito. Secondo i dati della ricerca condotta dalla Community Valore Acqua per l’Italia più della metà degli italiani dichiara di non bere mai o solo raramente acqua del rubinetto, nella maggior parte dei casi perché non è ritenuta sicura. Se il 95% della popolazione coinvolta dichiara di prestare attenzione alla riduzione dei propri consumi d’acqua questa consapevolezza si accompagna, tuttavia, a comportamenti paradossali: solo il 6% ha una percezione corretta del proprio consumo idrico, mentre il 23% lo sottostima e il 71% non è in grado di quantificarlo”.

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