
- 15/05/2025
- Redazione
- 0
In poco più di vent’anni è quasi raddoppiata l’area delle regioni oceaniche già povere di nutrienti e con scarsa biodiversità, passando – a causa della desertificazione – dal 2,4 al 4,5% dell’oceano globale
Si tratta di un fenomeno che comporta una grave carenza di nutrienti e che potrebbe avere conseguenze significative sulla salute degli oceani e sul clima globale.
È questo uno dei principali risultati emersi da uno studio internazionale condotto dal Laboratorio ENEA Modelli e Servizi Climatici, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine ISMAR-Cnr e il laboratorio cinese State Key Laboratory of Satellite Ocean Environment Dynamics (SOED), pubblicato sulla rivista scientifica ‘Geophysical Research Letters’.
Coinvolte tutte le regioni oceaniche
Lo studio si concentra, in particolare, sull’analisi dei cambiamenti del fitoplancton, l’insieme di quei microrganismi che sono alla base della catena alimentare marina (sono il cibo di zooplancton, pesci e altri organismi) e contribuiscono a mitigare i cambiamenti climatici rimuovendo la CO2 atmosferica attraverso la loro attività fotosintetica.
Per realizzare lo studio i ricercatori hanno esaminato le serie temporali di dati satellitari di clorofilla e di fitoplancton tra il 1998 e il 2022 nei cinque principali vortici oceanici della Terra (gyres subtropicali) situati nell’Atlantico settentrionale e meridionale, nel Pacifico settentrionale e meridionale e nell’Oceano Indiano.
Si tratta di sistemi di correnti caratterizzati da un movimento anticiclonico dell’acqua che si sviluppano tra l’Equatore e le zone subtropicali di alta pressione, e la cui formazione dipende da una complessa interazione tra venti, rotazione terrestre e distribuzione delle terre emerse.
“Questo fenomeno risulta molto evidente nell’Oceano Pacifico settentrionale dove la superficie coinvolta cresce a un ritmo di 70mila km² l’anno. Ma la desertificazione interessa in modo crescente diverse regioni oceaniche, con una particolare vulnerabilità nelle aree tropicali e subtropicali, dove la diminuzione dei nutrienti disponibili può avere importanti impatti sulla produttività e la diversità biologica”, ha dichiarato Chiara Volta, ricercatrice ENEA del Laboratorio Modelli e Servizi Climatici.
Distribuzione media globale della concentrazione di clorofilla negli oceani, derivata da osservazioni satellitari. Le aree in blu indicano bassa concentrazione di clorofilla, mentre quelle in verde corrispondono ad alte concentrazione – Source: https://earthobservatory.nasa.gov/global-maps/
La ricercatrice ha spiegato che “Questo accade a causa del riscaldamento globale, che fa sì che l’acqua calda, più leggera, resti in superficie, impedendo il mescolamento con l’acqua più fredda e ricca di nutrienti che si trova in profondità. Meno mescolamento significa quindi meno ‘cibo’ che arriva alla superficie per sostenere la crescita del fitoplancton e, di conseguenza, dell’intera catena alimentare”.
Come i cambiamenti climatici mutano le condizioni di crescita del fitoplancton
Dallo studio emerge inoltre che è in diminuzione la quantità di clorofilla, un indicatore chiave della salute e della produttività .
Maggiore, infatti, è la presenza di clorofilla maggiore dovrebbe essere l’abbondanza di fitoplancton. Il calo della presenza della clorofilla potrebbe però, secondo lo studio, non indicare una riduzione della popolazione del fitoplancton, ma un adattamento degli organismi alle nuove condizioni di crescita imposte dal cambiamento climatico.
Leggi anche: Protezione degli oceani, a Busan l’UE si impegna a stanziare oltre 300 milioni di euro
Secondo Chiara Volta nonostante il fatto che i dati satellitari abbiano riscontrato negli ultimi venti anni “un’espansione di questi sistemi oceanici e una conseguente riduzione di clorofilla”, “i risultati mostrano che, nonostante la diminuzione della clorofilla osservata nella zona più povera di nutrienti dei vortici subtropicali, la biomassa fitoplantonica è rimasta sostanzialmente stabile nel tempo”.
Per appurare ciò occorrerà, ha concluso la ricercatrice, “studiare i cambiamenti della comunità fitoplantonica lungo la colonna d’acqua e quantificare il loro impatto sulla produttività oceanica a scala regionale e globale”.